Cass. pen., Sez. IV, 17 marzo 2014, n. 12364
Con la sentenza indicata in epigrafe, una Corte di Appello confermava la condanna pronunciata dal Tribunale, nei confronti di Tizia, giudicata responsabile del decesso di Caia, in qualità di responsabile delle attività assistenziali presso una casa di riposo.
Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, nonostante Caia, persona affetta da patologia degenerativa cerebrale con deterioramento cognitivo e disorientamento spazio-temporale, ospite della struttura socio-assistenziale a carattere residenziale, si fosse resa protagonista di un primo allontanamento dalla struttura realizzato sfuggendo al controllo degli operatori, Tizia si era limitata ad allertare telefonicamente il proprio superiore gerarchico senza adottare idonei provvedimenti, dalla Corte d’Appello individuati nella sorveglianza a vista e nella sollecitazione ai superiori del trasferimento dell’ospite presso altra struttura esistente, idonea ad ospitare soggetti gravemente non autosufficienti, quale si era dimostrata Caia, di talché questa si era nuovamente allontanata dalla struttura senza che le due operatrici in servizio se ne avvedessero ed aveva vagato per molte ore venendo poi rinvenuta cadavere nei pressi di una grande arteria stradale.
Avverso tale decisione ricorreva per cassazione Tizia, ma la Corte riteneva infondato il ricorso.
Infatti, ricordato che: 1) si delinea una posizione di garanzia a condizione che: a) un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; b) una fonte giuridica – anche negoziale – abbia la finalità di tutelarlo; c) tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate; d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero che siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l’evento dannoso sia cagionato (Cass., Sez. IV, n. 38991/2010); 2) il concreto esercizio di poteri direttivi in relazione allo svolgimento di un’attività pericolosa importa di per sé l’assunzione di una posizione di garanzia nei confronti di coloro che al pericolo risultano esposti (Cass., Sez. IV, n. 26239/2013), la Suprema Corte ha posto in capo a Tizia la gestione dell’assistenza a Caia non solo in forza della formale preposizione alla struttura, ma anche per l’avvenuto concreto esercizio del ruolo. Su tali basi, il Collegio ha attribuito alla ricorrente il potere-dovere di sollecitare i superiori e di prendere provvedimenti interinali, individuati in una stretta sorveglianza di Caia.
In tema di causalità, poi, la condotta negligente od imprudente originata dall’altrui condotta colposa non costituisce causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, non risultando abnorme né del tutto imprevedibile (Cass., Sez. IV, n. 32303/2009). Pertanto, secondo la Cassazione, anche a ritenere che le infermiere che avevano in carico Caia siano state negligenti nell’adempiere ai propri compiti, tanto non determina alcuna cesura eziologica tra l’evento e la condotta di Tizia.
Il nucleo dell’addebito mosso all’imputata attiene dunque all’omessa assunzione di provvedimenti che impedissero l’allontanamento di Caia dalla sede della struttura socio-assistenziale. Peraltro, alla stregua dell’episodio occorso appena una settimana prima del fatto, ovvero l’allontanamento non autorizzato di Caia, non vi era necessità – secondo i giudici – di una relazione medica per rendersi consapevoli del pericolo che la donna ripetesse il gesto.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputata, giudicando le iniziative dalla medesima assunte non adeguate alle necessità del caso e quindi non ottemperanti i doveri derivanti dalla posizione di garanzia.