Tribunale Tivoli, 20 gennaio 2015
I NAS di Roma depositavano una notizia di reato con la quale segnalavano una serie di infermieri che, dagli accertamenti da loro compiuti, erano risultati esercitare l’attività presso strutture pubbliche sanitarie della Regione, senza però essere iscritti al Collegio IPASVI. Li avevano per questo deferiti alla Procura in relazione al delitto di abusivo esercizio della professione infermieristica (art. 348 c.p.: “chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516”).
Ciò avveniva per via del (presunto) mancato rispetto delle disposizioni della L. n. 43/2006, che regolamenta il riordino della professione sanitaria infermieristica e dispone l’obbligo dell’iscrizione del singolo infermiere al relativo albo professionale.
Senza dunque l’iscrizione al Collegio di cui sopra, l’attività professionale svolta sarebbe da considerarsi abusiva, perché priva del prescritto titolo abilitativo.
Va rilevato, infatti, che la citata Legge, nel riordinare una serie di professioni sanitarie, fra cui quella infermieristica, ha disposto all’art. 2 che l’esercizio di quest’ultima è subordinato al conseguimento del titolo universitario (laurea) rilasciato a seguito di esame finale dal valore abilitante all’esercizio della professione, facendo al contempo salvi i diritti di tutti coloro che già esercitavano la professione in virtù di titoli abilitanti conseguiti negli anni precedenti.
La Legge ha poi imposto l’obbligo di iscrizione all’albo professionale anche per gli infermieri che esercitavano alla data di entrata in vigore della Legge la professione presso strutture sanitarie pubbliche, superandosi così quel precedente orientamento secondo il quale l’iscrizione agli albi era obbligatoria solo per i dipendenti di strutture private (“l’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti ed è subordinata al conseguimento del titolo universitario abilitante di cui al comma 1, salvaguardando comunque il valore abilitante dei titoli già riconosciuti come tali alla data di entrata in vigore della presente legge”).
Quanto però alla questione relativa proprio agli albi professionali, a cui gli infermieri avrebbero dovuto obbligatoriamente iscriversi, il P.M. sottolineava – nella richiesta di archiviazione – il fatto che l’art. 4 della Legge aveva conferito al Governo la delega ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi proprio al fine di istituire i relativi Ordini professionali, nonché a trasformare i Collegi professionali presenti (e quindi anche IPASVI) in Ordini professionali, prevedendo l’istituzione di un Ordine specifico, ciascuno con albo separato, per ognuna delle professioni previste dalla legge.
Ebbene, il Governo non ha mai provveduto ad emanare i decreti di cui sopra, non ha mai trasformato i Collegi preesistenti in Ordini professionali, né sono mai stati creati i relativi albi cui iscriversi.
Successivamente al 2006, in attesa dell’emanazione e creazione degli Ordini professionali e dell’istituzione dei relativi albi, non vi sono mai stati criteri guida forniti agli infermieri, circolari della P.A., note interpretative lineari o in grado di chiarire o dare interpretazioni univoche in ordine alla natura del Collegio IPASVI (che, interpretando il dettato normativo, sembrerebbe essere cosa diversa da un Ordine professionale, cui non può essere equiparato, tanto che la Legge ne imponeva la trasformazione).
Da ciò è disceso il fatto che i diretti interessati, anche forti della mancata attuazione del dettato normativo e della tolleranza dello status quo ante da parte della stessa A.U.S.L. di rappresentanza, hanno dunque continuato ad esercitare la loro professione in perfetta buona fede al servizio delle varie strutture pubbliche del territorio.
Sulla base di queste considerazioni, il P.M. chiedeva l’archiviazione, ritenendo che non vi fossero sufficienti elementi per potersi ravvisare il delitto contestato, perché non vi era prova, attesa la farraginosa e non risolta questione amministrativa che permea tutto l’iter dell’intera vicenda, della sussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo al singolo lavoratore.
Il G.I.P., ritenuto che fosse condivisibile la richiesta di archiviazione, in punto insussistenza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio nei confronti degli indagati in ordine al reato ipotizzato, disponeva l’archiviazione del procedimento.
In conclusione lo scrivente, pur prendendo atto della tesi di IPASVI – secondo cui la Legge n. 43/2006 non subordina affatto l’obbligo di iscrizione all’albo professionale all’esercizio, da parte del Governo, della delega per la trasformazione dei Collegi in Ordini – reputa corretto il ragionamento giuridico del P.M. e del G.I.P. di Tivoli, considerato che in materia penale non si può prescindere dal rispetto dei principi costituzionali di stretta legalità e di colpevolezza.