La professione del medico veterinario è un’attività complessa che può essere esercitata nella forma di lavoro autonomo o di lavoro subordinato disciplinata dalle regole stabilite dallo Stato unitamente ai principi enunciati dal codice deontologico.
Inoltre ai fini dell’espletamento della professione risulta obbligatoria l’iscrizione all’albo preposto che corrisponde ad un’autorizzazione mediante la quale si acquisisce la facoltà di “esercitare la professione medico veterinaria” rilasciata, previa verifica delle capacità tecniche del candidato, da parte di una commissione competente in materia.
In sostanza il veterinario può svolgere, nell’ambito della propria professione, parecchie funzioni eterogenee dalle quali discendono altrettante diverse responsabilità di entità morale-giuridica che si configurano nei confronti degli animali e dei loro proprietari.
Pertanto sotto il profilo strettamente giuridico l’attività medico veterinaria rientra all’interno delle cosiddette professioni intellettuali caratterizzate dalla prevalenza della natura intellettuale della prestazione.
L’obbligazione professionale del veterinario, dalla quale deriva la sua responsabilità contrattuale, viene assunta nei confronti del proprietario dell’animale curato e si qualifica come un’obbligazione di mezzi per cui il professionista, assumendo l’incarico di curare un animale, si impegna per il raggiungimento del risultato (la guarigione) ma non per conseguirlo con assoluta certezza.
Ne deriva che ogni probabile insuccesso, quale ad esempio il decesso dell’animale, sarà valutato esclusivamente in riferimento ai doveri di “diligenza”, relativi allo svolgimento dell’attività medica stabiliti ex art. 1176, comma 2, c.c., per cui viene disposto che “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Ciò significa che il veterinario dovrà agire sia con perizia la quale implica comprovata competenza ed abilità nel proprio operato; sia con prudenza ovvero con equilibrio, ponderazione e misura nell’agire.
Dall’altra parte in caso di danno laddove il veterinario abbia agito adempiendo alla propria prestazione professionale, in mancanza dei requisiti succitati, gli si potrà configurare probabilmente la responsabilità per condotta colposa.
In ogni caso l’eventuale responsabilità del professionista dovrà essere provata ed atteso il carattere aleatorio della prestazione spetta al cliente “dimostrare” l’eventuale inadempimento del veterinario eccependo l’inosservanza di quest’ultimo alle regole di diligenza, prudenza e perizia alle quali lo stesso è vincolato ex art. 1176 c.c. (nell’espletamento della professione).
Sul professionista interessato invece ricade l’onere di escludere ogni attribuzione di negligenza, imperizia o di provare che l’imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore.
Ad ogni modo risulta fondamentale evidenziare che allo scopo di poter configurare la responsabilità del professionista debba essere, comunque, provata l’inescusabilità ed altresì la evitabilità dell’errore professionale.
Per questi motivi l’attività di accertamento inerente alla responsabilità del medico veterinario non può prescindere dall’utilizzo dello strumento della consulenza medico legale fornita da un altro collega il quale mediante l’utilizzo della propria competenza verificherà se l’evento motivo di contesa sia scaturito da una “colpevole condotta professionale” oppure da altri fattori esclusivi o concorrenti con la stessa.
Resta salva l’ipotesi che qualora la prestazione professionale implichi la soluzione di problemi tecnici di straordinaria difficoltà e complessità, si pensi ad esempio alla necessità di effettuare un intervento chirurgico multiplo ancora poco studiato, per cui non è sufficiente la semplice preparazione ordinaria del professionista, la responsabilità per imperizia del veterinario risulterebbe attenuata (fintanto da poter essere esclusa) a tal punto che egli sarà chiamato a rispondere solo per condotta dolosa oppure per colpa grave originata da negligenza e imprudenza ex art. 2236 c.c..
Infine non va sottaciuto che il medico veterinario, in base a quanto viene stabilito dall’art. 29 del Codice deontologico, nell’espletamento della propria prestazione professionale è tenuto a rispettare “l’obbligo di informazione e consenso informato nella pratica veterinaria”affinché il proprietario dell’animale conosca chiaramente il quadro clinico dello stesso, il percorso diagnostico, le possibili soluzioni terapeutiche con tutti i rischi ed i benefici ivi connessi.
Pertanto da siffatta costatazione si evince che il consenso informato si configura come uno strumento prezioso, succintamente connesso alla responsabilità contrattuale del professionista, posto a tutela dell’animale interessato in quanto effettivo destinatario del trattamento.
A tal proposito è fondamentale che il veterinario lo proponga in un linguaggio chiaro ed accessibile per il cliente, calibrandolo in base alle sue capacità di comprensione ed al caso clinico di sorta, rispondendo contestualmente ad ogni ulteriore richiesta d’informazione in maniera esaustiva e obiettiva.
Nonostante ai fini della validità del consenso informato non risulta necessario che lo stesso sia reso dal professionista per iscritto tale forma è considerata la più idonea per acquisirlo specialmente nel caso in cui lo si dovrà produrre in giudizio per eventuali esigenze probatorie.
Centro Studi Promesa