La domanda presenta non poche problematiche, non essendoci, ad oggi, una risposta univoca.

In Italia ci sono diverse fonti del diritto che analizzando questo argomento.

Il “Testo Unico delle Leggi Sanitarie” del 1934 e tutt’ora in vigore, contiene un elenco dettagliato delle professioni che possono essere qualificate come “sanitarie” (art. 99).

Questa norma, nella sua versione originaria, non menziona la figura dello psicologo, così come quelle più “specialistiche” dello psicoterapeuta o dello psicologo clinico.

Fermandoci a questo dato sembrerebbe possibile escludere lo psicologo dal dovere di referto.

Nel corso degli anni, però, tanto la legislazione nazionale, quanto la dottrina e la giurisprudenza, hanno effettuato un’interpretazione estensiva delle c.d. professioni sanitarie, attribuendo tale qualifica non solo all’attività specificatamente “psicoterapeutica” ma anche tutte le altre attività “cliniche” (psicodiagnostiche, di supporto o sostegno psicologico, riabilitative ecc.), rivolte direttamente alla “persona”.

A partire dal 2018, anche lo psicologo è qualificato quale professionista sanitario.

Ecco perché il dovere di referto potrebbe trovare applicazione anche nei confronti dello psicologo.

 

Cosa significa obbligo di referto?

La contrapposizione tra tutela del segreto professionale ed obbligo di denuncia non passa solamente dal corretto inquadramento del terapeuta che svolge il proprio lavoro come pubblico ufficiale o come libero professionista.

In quali casi lo psicologo può essere vincolato all’obbligo di referto?

Per prima cosa dobbiamo capire cosa significhi questo termine e, per farlo, è necessario richiamare l’articolo 365 del codice penale che ci fornisce la definizione di “referto”:

  • comunicazione scritta obbligatoria;
  • indirizzata all’Autorità Giudiziaria;
  • da parte di un soggetto che esercita una professione sanitaria;
  • avente ad oggetto un delitto procedibile d’ufficio.

Apparentemente il dovere di referto può sembrare una duplicazione di quello relativo alla denuncia.

In realtà è consentito derogare al referto, nel momento in cui questo potrebbe esporre il paziente al rischio di un procedimento penale (art. 365 co. II c.p.).

Tuttavia, il ruolo di pubblico ufficiale rileva anche in relaione al dovere di presentare referto.

Rivestendo questa qualifica, il professionista sanitario non potrà infatti evitare di effettuare la segnalazione che verrà definita “rapporto”.

Le cariche di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio risultano, infatti, prevalenti rispetto a quella di professionista sanitario.

Riassumendo, quando si parla di soggetti che esercitano una professione sanitaria:

  • in relazione a reati procedibili a querela di parte non sussistono obblighi di denuncia per il pubblico ufficiale/ incaricato di pubblico e per il libero professionista;
  • in caso di reato perseguibile d’ufficio:
  1. il pubblico ufficiale / incaricato di pubblico servizio è tenuto a segnalare mediante un rapporto;
  2. il libero professionista è tenuto a darne comunicazione all’Autorità Giudiziaria redigendo un referto;

 

  • il libero professionista può derogare al dovere di referto se:
  1. espone il paziente al rischio di un procedimento penale;
  2. espone se stesso od un proprio congiunto ad un possibile danno nel fisico, nella libertà o nell’onore.

 

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