Cass. pen., Sez. IV, 10 novembre 2014, n. 46338
A seguito di giudizio abbreviato, il Tribunale emetteva pronunzia assolutoria nei confronti degli imputati in ordine al reato di omicidio colposo perché il fatto non costituisce reato. In virtù dell’impugnazione della parte civile, la sentenza veniva riformata dalla Corte d’Appello: si affermava la civile responsabilità con conseguente condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Il fatto è il seguente. La vittima venne ricoverata presso il reparto di urgenza dell’ospedale manifestando sintomatologia costituita da vomito, diarrea e dolore epigastrico. Essa riferì di aver ingerito cibo probabilmente avariato alcune ore prima del ricovero. Due sanitari si indirizzarono verso una diagnosi di tossinfezione alimentare. Il giorno seguente il paziente venne improvvisamente meno per arresto cardiocircolatorio che, a seguito di indagine autoptica, risultò determinato da rottura di aneurisma dissecante dell’arco aortico. Di qui l’imputazione colposa per l’errata diagnosi e la conseguente assenza di tempestive e appropriate iniziative terapeutiche.
Il primo giudice riteneva che si fosse in presenza di anamnesi fuorviante e di sintomatologia decisamente anomala, sicché una corretta diagnosi era di difficile formulazione. In sintesi, si ravvisava l’impossibilità o comunque l’estrema difficoltà di operare una diagnosi corretta e tempestiva della grave patologia.
Tale valutazione non veniva condivisa dalla Corte d’Appello, la quale riteneva, al contrario, che la condotta terapeutica dei due sanitari che in tempi diversi ebbero in cura il paziente sia caratterizzata da gravi negligenza, imprudenza e imperizia. “Il perito ha spiegato che nel 90% dei casi lo sviluppo di un aneurisma dell’aorta è segnalato da un grave dolore toracico. Tale dolore inizialmente forte tende ad attenuarsi. Esso si manifestò prima dell’ingresso in ospedale ed è correttamente riportato nella cartella clinica, accompagnato da parestesia della gamba, dati non spiegabili con una tossinfezione alimentare; e corroborato dal peggioramento della funzione renale e dal valore dell’ematocrito nonché da spiccata leucocitosi, sintomi presenti anche in caso di infarto o di dissecazione dell’aorta. Erroneamente dunque è stata compiuta diagnosi di gastroenterite, omettendo di compiere le indagini supplementari che avrebbero consentito una diagnosi corretta con elevatissima probabilità”. La pronunzia valutava altresì il profilo causale del caso. “Si considera che la diagnosi compiuta nelle prime 24 ore salva la vita a 62 persone su 100 e quindi con una percentuale assai elevata. D’altra parte adeguati esami diagnostici avrebbero consentito di formulare tempestivamente una corretta diagnosi con probabilità del 98%. Sulla base di tali elementi si ritiene possibile un giudizio di elevata probabilità logica e quindi di certezza processuale in ordine all’evitabilità dell’evento”.
In tema di causalità nell’ambito dei reati commissivi mediante omissione si sono ripetutamente espresse le Sezioni Unite. Si è chiarito che anche nell’ambito della causalità omissiva la regola di giudizio è quella della razionale, umana certezza alla stregua di una robusta corroborazione dell’ipotesi. Qui il ragionamento probatorio dà luogo ad un’inferenza predittiva, afferente all’evitabilità dell’evento per effetto delle condotte doverose mancate.
Anche in tale ambito è comunque presente un fatto, di cui occorre in primo luogo dare una spiegazione complessiva prima di interrogarsi sul ruolo causale dell’omissione. Entro il complessivo contesto fattuale così investigato occorre poi inserire la condotta umana doverosa che è invece mancata. Ci si chiede cosa sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.
In questo ragionamento insorgono peculiari difficoltà. L’omissione, infatti, costituisce un nulla dal punto di vista naturalistico, sicché nel giudizio controfattuale occorre inserire una condotta astratta, idealizzata. Inoltre, per prevedere ciò che sarebbe accaduto nel singolo caso oggetto del processo è di grande importanza conoscere cosa accade nei casi simili. Occorre dunque rivolgersi alle generalizzazioni formatesi a proposito del nesso causale che interessa, se esistenti. Il primo punto delicato, dunque, riguarda l’acquisizione di generalizzazioni pertinenti e affidabili.
Nell’ambito di cui si discute le generalizzazioni scientifiche o esperienziali vengono utilizzate in chiave eminentemente deduttiva e, per tale ragione, è assai importante il coefficiente probabilistico (si parla di probabilità statistica) della regolarità causale di cui ci si avvale. La misura di certezza o d’incertezza che caratterizza la generalizzazione utilizzata si trasferisce, infatti, dalla premessa maggiore alla conclusione del sillogismo probatorio.
L’uso dello strumento deduttivo può implicare gravi problemi, soprattutto in ambiti complessi. Infatti, spesso non si dispone affatto di generalizzazioni affidabili ma solo di lacunose e in qualche caso anche contraddittorie informazioni statistiche. Ma anche quando sono presenti informazioni sufficientemente esaustive e affidabili, esse hanno solitamente carattere molto generale e non appaiono focalizzate sui tratti della specifica vicenda oggetto del processo. Una descrizione dell’evento non priva di qualche specificità ci farà trovare di fronte all’assenza di informazioni pertinenti.
Ad esempio, è noto che una determinata percentuale di persone sopravvive dopo essere stata curata a seguito di infarto del miocardio, ma non è noto quale esatto peso vi abbiano i diversi fattori di rischio quali l’età, il sesso, le condizioni generali e numerose altre variabili individuali. La conclusione è che non si dispone quasi mai di uno strumento deduttivo sufficientemente affidabile. Tale situazione, che rischia di frustrare in radice le inferenze della causalità omissiva, apre la strada all’introduzione di un aggiuntivo momento di tipo induttivo nella complessiva argomentazione probatoria. In breve, le eventuali generalizzazioni disponibili, di cui è già stata mostrata la vocazione, nel contesto in esame, all’utilizzazione in chiave deduttiva, vengono integrate da un passaggio di tipo induttivo elaborato dal giudice sulla base delle particolarità del caso concreto. Perciò, nell’esempio dell’infarto, se il paziente era giovane, l’infarto non devastante, le condizioni generali buone, si può giungere a ritenere che diagnosi e trattamento tempestivi avrebbero evitato l’evento. La valutazione finale si esprimerà in termini di elevata probabilità logica, ovvero di corroborazione dell’ipotesi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite.
Tale soluzione rende praticabile il giudizio d’imputazione dell’evento, allontanando la prospettiva di indiscriminata impunità anche per condotte omissive gravemente trascurate e dannose. Occorre tuttavia ribadire il pericolo, già segnalato dalle Sezioni unite (S.U. Espenhahn) di degenerazioni di tipo retorico che imprimono arbitrariamente il suggello dell’elevata probabilità logica su ragionamenti probatori che rimangono altamente incerti quanto al carattere salvifico delle condotte mancate; e che non si confrontano adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta. Il rischio di ingannevoli distorsioni del giudizio può essere evitato solo attraverso una serrata ricerca – prima – e analisi – poi – delle contingenze nella vicenda concreta che, in qualche caso ma non sempre, possono consentire di superare in chiave induttiva il tratto probabilistico (in chiave numerica) dell’inferenza deduttiva.
Tale approccio è mancato, ad avviso della Cassazione, nel caso in esame. Sarebbero presenti due errori logico-giuridici.
“In primo luogo non è stato chiarito da quali affidabili informazioni scientifiche emerga il dato statistico in ordine ad una percentuale di sopravvivenza del 62%. Il passaggio motivazionale in questione, oltre ad essere vago e privo di riferimenti al sapere scientifico, è anche oscuro in quello che sembra essere un estemporaneo criterio di calcolo. In ogni caso, non si comprende per nulla, data per accertata la percentuale in questione, come possa giungersi ad affermare che la condotta medica appropriata avrebbe con certezza evitato l’evento”.
Si è chiarito che quando si parla di probabilità logica non si fa riferimento ad un dato statistico, numerico, ma ad un apprezzamento finale, valutativo del complessivo quadro indiziario. Tale apprezzamento non può risolversi in un artifizio retorico che conculca i dati numerici. Una percentuale di sopravvivenza del 62%, con tutta evidenza, non indica una prospettiva di certo evitamento dell’evento lesivo per effetto di condotte terapeutiche appropriate. A meno che le contingenze del caso concreto siano talmente favorevoli da far ritenere che la misura d’incertezza sia superata nella specifica vicenda. Pure tale apprezzamento in ordine al caso concreto è mancato.
In conclusione, la sentenza d’appello veniva annullata dalla Cassazione con rinvio davanti al giudice civile, che farà applicazione dei principi penalistici sopra indicati, essendo in questione la responsabilità civile da reato ai sensi dell’art. 185 c.p.